Richard Silvaggio è un giovane artista italo-australiano che, con ludica serietà, compie meta-discorsi sfogliando a credito pagine importanti di una storia dell’arte a cui siamo tutti debitori.

Ma come ci ricordava Calvino c’è un modo intelligente e lecito di “rubare” e citare; così Richard compie un viaggio vertigine tra i corridoi del museo universale. Le immagini d’arte sfilano. Guarda e passa. Stanze e quadri visti a ritmo di boogie-woggie. E all’uscita quello che è rimasto è rimasto. Richard ricalca sulla tela la poesia della prima impressione. Con un movimento in levare screma e semplifica, cadenza e agglomera forme e colori in una rimodulazione dello spazio modellato secondo i suggerimenti della “buona forma” e della sensibilità del primo sguardo. Ciò che rimane è un’evocativa istantanea capace di cogliere l’essenziale, come una coraggiosa descrizione epidermica d’insieme. Attraverso l’ausilio digitalizzazione e con interventi al computer quella che, con ironia, Richard chiama “Una vaga idea di..” titolando ogni opera, viene salvaguardata e passa indenne al primo sguardo, al digitale e infine al quadro. Negli armonici giochi di figura e sfondo si levano le tracce essenziali, ogni segno corsivo dell’opera originaria viene ricondotta a grumo di colore ed i ricordo; ciò che erano i tratti, le sfumature, ora sono pattern gestaltici di un’unica mano senza impronte. Come ci insegna la psicologia della percezione la maggior parte delle persone disegnano quello che credono di vedere e non quello che vedono realmente. Suggestione e soggettività. Così l’impressione si appiccica alle macchie di acrilico dense e ben campite. Di passaggio in passaggio, sfondando e sdrammatizzando immagini note come icone banalizzate nell’epoca della più sfrenata riproducibilità, qualcosa viene aggiunto. L’artista ribilancia il rapporto tra il vasto mondo dell’arte e l’individuo. Racconta un percorso di confidenza. E le immagini si elevano in funzione della loro addomesticabilità.

A cura di Valeria Cumini.